10

Nel sogno, Skye stava cenando con Austin in un bistro parigino vicino alla torre Eiffel. Alla sua intimazione di svegliarsi, rispose seccata: «Non sto dormendo».

Svegliati, Skye.

Ancora lui. Che uomo irritante!

Poi Austin si allungò verso di lei al di sopra del tavolo, oltre il vino e il pâté, e la schiaffeggiò sulla guancia, facendola infuriare sempre più. Spalancò la bocca per gridargli di smetterla.

«Così va meglio», dichiarò la voce di lui.

Sentendo le palpebre scattare verso l'alto come un paio di tapparelle inceppate, Skye distolse il viso dalla luce accecante. Il fascio luminoso si spostò, e lei vide il volto di Austin il quale, l'espressione preoccupata, la costrinse ad aprire la bocca con una leggera pressione sulle guance. D'un tratto, la donna avvertì la plastica rigida di un respiratore fra i denti.

Mentre l'aria fluiva nei suoi polmoni riportandola alla vita, lo scorse inginocchiarsi al suo fianco; notò che aveva addosso una muta stagna arancione, e uno strano aggeggio sulla testa. L'uomo le prese la mano e le spinse gentilmente le dita attorno alla minuscola bombola che alimentava il respiratore.

Poi si tolse il boccaglio per parlare. «Ce la fai a restare sveglia per un minuto?»

Lei annuì.

«Non andartene. Torno subito.»

Austin si alzò in piedi e si avviò verso la scala. Per un attimo, mentre si preparava a calarsi nell'acqua con la torcia elettrica in pugno, scorse gli altri rimasti intrappolati assieme a lei: tutti con l'aria di derelitti crollati a terra in un vicolo dopo essersi scolati una boccia di vino da pochi soldi.

Pochi istanti più tardi, intorno alla scala si udì un lugubre risucchio, e Austin ricomparve con un cavo gettato su una spalla. Puntati i piedi, prese a tirare la corda come un barcaiolo del Volga; d'un tratto cadde sulle ginocchia a causa del pavimento scivoloso, ma si rialzò immediatamente. La prima sacca di plastica attaccata al cavo emerse dall'acqua scivolando sul terreno come un grosso pesce, seguita via via dalle altre.

Dopo aver fatto rapidamente scorrere le cerniere, Austin estrasse le bombole che vi aveva riposto e cominciò a scuotere gli uomini per fargli riacquistare un minimo di lucidità. Non appena ebbe somministrato la prima boccata di ossigeno, li vide riprendersi in un lampo e cominciare a succhiare avidamente l'aria vivificante, mentre il suono metallico delle valvole echeggiava nell'ambiente chiuso.

«Che ci fai, tu, qui sotto?» esclamò Skye dopo aver sputato il boccaglio, con il tono di una dama dell'alta società che ha scoperto un infiltrato al suo party.

Lui l'aiutò ad alzarsi con cautela e le depose un bacio in fronte. «Non volevo si dicesse in giro che Kurt Austin ha permesso a un imprevisto, quale che sia, di mandare a monte la nostra cena.»

«La cena! Ma...»

Austin infilò nuovamente il boccaglio fra le labbra della donna. «Non è il momento di chiacchierare, questo.»

Aperte altre sacche, ne estrasse delle mute stagne. Rawlins e Thurston che, come si scoprì, erano entrambi sub patentati, aiutarono gli altri a indossare gli indumenti e i respiratori. Nel giro di poco tempo, i sopravvissuti erano equipaggiati di tutto punto. Non proprio una squadra della SEAL, si disse Austin, ma con un bel po' di fortuna potevano anche farcela.

«Pronti a tornare a casa?» chiese.

Nella grotta echeggiò un coro di mugolii incomprensibili ma pieni di entusiasmo.

«D'accordo. Seguitemi.»

Austin guidò i malridotti cavernicoli lungo la scala fino al tunnel allagato. Più di un sopracciglio si sollevò per lo stupore, alla vista di Zavala che agitava le braccia in segno di saluto dall'interno del suo globo luminoso.

Austin aveva previsto che i suoi passeggeri avrebbero avuto bisogno di qualcosa cui reggersi durante il tragitto. Prima di ammonticchiare le sacche con l'attrezzatura subacquea sul retro della navicella, lui e gli uomini della Mummichug avevano steso una rete da pesca sulla piattaforma del SEAmobile. Con vigorosi movimenti delle mani, spintarelle e strattoni, sistemò i sopravvissuti a faccia in giù sulla piattaforma in file da tre, come sardine in scatola.

Renaud, con la sua mano ferita, fu piazzato davanti, proprio alle spalle della cabina, fra i due reporter. Skye si trovava nella fila di centro fra Rawlins e Thurston, quelli dotati di maggior esperienza in acqua. Austin si sarebbe sistemato dietro di lei, fra LeBlanc, che aveva l'aria di essere forte come un toro, e Rossi, il giovane assistente alla ricerca.

Per maggior sicurezza, tirò dei cavi sulla schiena dei suoi passeggeri assicurandoli come merci ingombranti. Il sommergibile era praticamente invisibile sotto lo strato di corpi ammassati, ma era la soluzione migliore che gli fosse riuscito di escogitare, considerato lo scarso spazio a disposizione.

Nuotando alle spalle del mezzo, andò a piazzarsi dietro Skye. Prevedeva di doversi muovere liberamente, più tardi, quindi decise di non legarsi in alcun modo.

«Tutte le nostre anatre sono in formazione», dichiarò alla ricetrasmittente. «Il mezzo è piuttosto affollato, qui dietro, perciò suggerirei di andare piano e di non raccogliere autostoppisti.»

Con un ronzio dei motori elettrici, il SEAmobile arrancò impercettibilmente in avanti per poi aumentare di poco la velocità. Austin sapeva che i sopravvissuti dovevano essere ai limiti della sopportazione. Pur avendoli avvertiti che bisognava avere pazienza, si rendeva conto di quanto fosse esasperante la lentezza con cui procedeva la navicella, tanto che faticava a trattenersi dal revocare l'ordine impartito.

Lui, almeno, poteva chiacchierare con Zavala. Gli altri erano soli con i propri pensieri. Il sommergibile avanzava lungo il tunnel come trainato da una squadra di tartarughe. A tratti sembrava che il SEAmobile fosse fermo, mentre le pareti della galleria scorrevano al rallentatore accanto a loro.

Gli unici suoni erano il monotono ronzio dei motori e il borbottio delle bolle d'aria dallo scappamento. Quasi gridò di gioia quando udì l'annuncio di Zavala: «Vedo le prime colonne di fronte a noi, Kurt».

Sollevò di scatto la testa. «Fermati prima di raggiungerle. Voglio tenerti d'occhio mentre fai lo slalom.»

Non appena il SEAmobile si fu arrestato, Austin si staccò dalla piattaforma e salì sulla bolla della cabina. La prima serie di sostegni scintillava una decina di metri davanti a lui. Con morbidi, ritmici colpi di pinna si avvicinò fino a oltrepassare il varco da lui stesso creato nello sbarramento, poi si volse e gesticolò verso Zavala come un vigile in mezzo al traffico, indirizzandolo a destra o a sinistra a seconda della necessità.

Dopo essere lentamente transitato attraverso il primo passaggio, Zavala deviò leggermente dalla rotta per puntare verso il varco successivo, e fu allora che iniziarono i guai. Sovraccarico com'era, il sommergibile rispose pigramente e si produsse in una slittata. Azionando con mano ferma i comandi dei propulsori, il pilota bloccò l'oscillazione laterale. Mentre la navicella oltrepassava l'ostacolo davanti a sé, un tentativo di compensare provocò, tuttavia, un contatto fra una colonna e il SEAmobile, che cominciò a sbandare.

Austin balzò di lato appiattendosi contro la parete del tunnel fino a che Zavala non ebbe prudentemente spento i motori, poi nuotò in direzione della cabina.

«Devi fare qualcosa per il tuo modo di guidare, amico, sul serio.»

«Mi dispiace. Con tanto peso sulla schiena, questo aggeggio reagisce come in un autoscontro.»

«Cerca di tenere a mente che non sei al volante della tua Corvette.»

Zavala sorrise. «Mi piacerebbe.»

Dopo aver controllato i passeggeri e aver constatato che tenevano duro, Austin si diresse verso un'altra serie di colonne dove, trattenendo il fiato, rimase a osservare il sommergibile transitare senza incidenti con il suo carico. Ormai impratichitosi dei comandi, Zavala superò con successo altri gruppi di pilastri mentre Austin teneva mentalmente il conto. Ne rimangono solo tre, ora.

Si stavano avvicinando alla fila seguente, quando notò che qualcosa non quadrava. Aguzzò lo sguardo attraverso la maschera, ma non fu affatto rassicurato da ciò che vide. In quel punto, dove aveva precedentemente tagliato il sostegno centrale, le colonne laterali residue sembravano due gambe piegate ad arco. Un movimento repentino richiamò la sua attenzione, spingendolo ad alzare lo sguardo. Da una stretta fessura sul soffitto fuoriuscivano delle bollicine d'aria.

Non c'era bisogno di essere degli ingegneri edili per immaginare ciò che stava accadendo. Il peso era eccessivo perché i due supporti rimasti riuscissero a sostenerlo; potevano cedere da un secondo all'altro, seppellendo per sempre nel tunnel il sommergibile e i suoi passeggeri.

«Abbiamo un problema, qui avanti, Joe», annunciò sforzandosi di mantenere calma la voce.

«Vedo», replicò Zavala, chinandosi in avanti per sbirciare attraverso la bolla di plexiglas. «Quelle colonne sembrano le gambe di un cowboy. Qualche consiglio su come uscire da questa trappola per topi?»

«Lo stesso che darei a due porcospini in procinto di fare l'amore. Massima cautela. Procedi mettendo i piedi nelle mie orme.»

Raggiunti a nuoto i sostegni inarcati, Austin li superò agevolmente, dato che c'era un buon margine di spazio su entrambi i lati, poi si volse e, riparandosi gli occhi dagli accecanti fari alogeni del sommergibile, fece cenno a Zavala di avanzare. Dopo che ebbe manovrato con destrezza il SEAmobile attraverso il varco senza sfiorare nessuna delle colonne, Joe si ritrovò nei guai a causa di un problema del tutto inaspettato. Un'estremità della rete che penzolava dalla piattaforma del mezzo s'impigliò sul moncone del pilastro reciso da Austin; avvertendo lo strappo, Zavala accelerò istintivamente, senza riflettere.

Era la cosa peggiore che avesse potuto fare.

Il mezzo parve indugiare sotto la spinta dei propulsori, poi la rete si disincagliò facendo balzare in avanti il sommergibile che, ormai senza controllo, sbatté con tutto il suo peso contro la colonna di destra dello sbarramento di fronte. Zavala si affrettò a compensare la brusca sbandata, ma era troppo tardi: il palo colpito si era ormai deformato.

Austin vide il disastro svolgersi sotto i suoi occhi come al rallentatore.

Sollevò lo sguardo al soffitto, oscurato d'un tratto da un'estesa nube di bollicine.

«Muoviamoci!» gridò. «Il tetto sta crollando!»

Nella cuffia gli giunse una sfilza d'imprecazioni in spagnolo.

Azionati i propulsori al massimo, Zavala puntò verso l'apertura seguente. Il veicolo passò a pochi centimetri da Austin, che si sporse con tempismo perfetto ad afferrare la rete, alla quale rimase aggrappato come un cascatore di Hollywood a una diligenza in fuga.

Spinto dall'urgenza, Zavala non perse tempo a calibrare al millimetro la virata e sfiorò un'altra colonna. Nonostante l'attrito fosse stato minimo, il pilastro si piegò fino a spezzarsi. Austin, che nel frattempo era riuscito ad arrampicarsi sulla piattaforma, si tenne disperatamente aggrappato mentre il SEAmobile ruotava a trecentosessanta gradi su se stesso per poi riprendere la direzione originaria.

Di fronte a loro si profilava l'ultimo varco da superare.

Il sommergibile fece un passaggio pulito, quella volta, ma il danno ormai era fatto.

Il soffitto cedette precipitando in basso in una valanga di grossi massi, liberando l'acqua contenuta nella sacca del ghiacciaio. Non appena migliaia di litri d'acqua invasero lo spazio ristretto del tunnel, una potente ondata colpì il SEAmobile e lo scaraventò lungo la galleria come una foglia in una grondaia, trascinandolo verso l'imboccatura.

Ignari del dramma che si stava svolgendo negli oscuri recessi ai piedi del ghiacciaio, gli uomini della squadra di supporto erano tornati a bordo degli elicotteri. L'unico rimasto a sorvegliare la postazione era appena uscito all'aperto per respirare un po' d'ossigeno quando udì un rombo scaturire dalle viscere della terra. Più rapide del cervello, le gambe lo trascinarono via, lontano dal tunnel. Al riparo di un masso defilato, l'uomo vide la navicella schizzare fuori all'aria aperta a tutta velocità.

Nel trovare sfogo all'esterno della caverna, l'impeto della massa liquida lasciò il veicolo in secca su un tratto di terreno sopraelevato. Storditi e doloranti, i passeggeri si liberarono delle corde e, lasciandosi scivolare a terra dalla piattaforma, sputarono i boccagli dei respiratori per riempirsi i polmoni con voraci boccate di aria fresca.

Lasciata la cabina, Zavala stava correndo verso il tunnel quando vide una seconda, più debole ondata sgorgare dall'imboccatura e investire il mezzo, trascinando con sé la figura gesticolante di Austin in muta arancione: la maschera era incrinata e appoggiata di sghimbescio sul viso dell'uomo, mentre la cuffia ricetrasmittente gli era stata strappata dal capo. La forza dell'acqua lo faceva roteare come una palla ghermita dalla corrente.

Sporgendosi in avanti, Zavala afferrò l'amico fra una capriola e l'altra e lo aiutò a rimettersi in piedi.

Gli occhi vitrei, instabile sulle gambe come un ubriaco, Austin sputacchiò una boccata di fango e prese a tossire, simile a un cane sul punto di annegare.

«Come dicevo, Joe, devi assolutamente fare qualcosa per il tuo modo di guidare.»

La squadra di recupero francese arrivò un'ora dopo. Il loro elicottero atterrò di fronte alla centrale con la foga di un falco pescatore lanciato sulla preda. Ancor prima che i pattini del velivolo avessero sfiorato il suolo, dal portellone emersero sei rudi e aitanti scalatori equipaggiati con rotoli di corda e moschettoni. Il capo spiegò che avevano portato con sé l'attrezzatura da arrampicata in quanto era stato comunicato loro che c'era gente intrappolata sul ghiacciaio, non sotto.

Non appena seppe che i suoi servigi non erano richiesti, il responsabile si strinse nelle spalle ammettendo con filosofia che pure la migliore delle squadre di soccorso alpino non sarebbe servita a nulla, in un caso di emergenza subacquea. Stappate due bottiglie di champagne che aveva con sé, sollevò il bicchiere in un brindisi dichiarando che si sarebbero presentate altre occasioni: la gente non fa altro che ficcarsi nei guai, in montagna.

Al termine dei festeggiamenti improvvisati, Austin supervisionò il rientro del sommergibile a bordo della Mummichug per poi tornare con Zavala alla centrale idroelettrica, dove si era provveduto a trasferire i sopravvissuti per una buona doccia bollente e del cibo caldo. Con indosso una variopinta accozzaglia d'indumenti presi a prestito, si erano radunati nella sala ricreazione per raccontare la loro avventura.

I cronisti proiettarono i video dell'aggressione a Renaud, ma dovettero constatare che le immagini erano di qualità scadente e il volto del tizio armato s'intravedeva appena. Anche la registrazione audio non rivelava granché, a parte il breve scambio di frasi tra Renaud e il suo assalitore.

Austin era intento a curarsi bernoccoli e sbucciature con una bottiglia di birra belga prelevata dalla dispensa della centrale. Seduto con il mento appoggiato alla palma della mano, sentiva la collera montargli dentro man mano che Skye e gli altri rimasti intrappolati nel tunnel descrivevano nei dettagli l'aggressione a sangue freddo che per poco non aveva condannato parecchie persone innocenti a una morte spaventosa sotto il ghiaccio.

«Questa è una faccenda che riguarda la polizia», commentò Drouet, il supervisore dell'impianto, dopo aver udito l'intera storia. «Bisogna informare immediatamente le autorità.»

Austin si morse la lingua. All'arrivo della polizia, le eventuali tracce avrebbero avuto il tempo di freddarsi più della birra che stringeva fra le dita.

Renaud sembrava ansioso di andarsene. Reggendosi la mano come se avesse riportato una ferita mortale, si fece largo sino all'elicottero della centrale e salì a bordo. I cronisti, così come Rawlins, non vedevano l'ora di mettere nero su bianco i loro articoli, ben più ricchi del semplice resoconto sul corpo ibernato; si affrettarono dunque a chiamare l'idroplano a noleggio che li aveva depositati sul ghiacciaio.

Il pilota chiarì uno dei loro interrogativi: stava aspettando sul lago il ritorno dei clienti dal ghiacciaio quando aveva visto arrivare sulla spiaggia uno di loro, il tizio grande e grosso, a bordo della Citroën di LeBlanc.

L'uomo lo aveva informato che gli altri giornalisti si sarebbero trattenuti per la notte, mentre lui aveva necessità di ripartire immediatamente.

Dopo aver osservato il velivolo allontanarsi attraverso il lago, Skye scoppiò in una risata. «Avete visto Renaud? Ha usato la mano ferita per aprirsi un varco in modo da salire a bordo per primo.»

«Dal tono ironico, si direbbe che tu non sia troppo dispiaciuta per la sua partenza», commentò Austin.

La donna fece finta di lavarsi le mani. «Grazie a Dio ce ne siamo liberati, com'era solito dire mio padre.»

In piedi accanto a Skye, Lessard osservava con occhi tristi l'idroplano sollevarsi sul lago per puntare verso una vallata incastonata fra due cime.

«Be', monsieur Austin, io devo tornare al lavoro», annunciò in tono lugubre. «Grazie per le emozioni che lei e i suoi amici avete regalato a questo sperduto avamposto.»

Austin gli afferrò la mano in un'energica stretta. «Il salvataggio sarebbe stato impossibile, senza il suo aiuto. Credo che non resterà solo a lungo. Appena si saprà l'accaduto, questo posto sarà invaso dai giornalisti, senza contare che pure la polizia verrà ad annusare qui attorno.»

La reazione dell'uomo fu più entusiastica che seccata. «Lo crede davvero? Sarà meglio che torni in ufficio e mi organizzi per accogliere i visitatori, allora. Vi farò accompagnare sino al lago da uno dei nostri furgoni, se vi va.»

«Vengo con lei», s'intromise Skye. «Devo recuperare qualcosa che ho lasciato nella centrale.»

«A quanto pare, quel gentiluomo non ne ha avuto abbastanza del suo quarto d'ora di celebrità», fu il commento di Zavala sul conto di Lessard.

«Ora, se non hai più bisogno dei miei servigi...»

Austin lo bloccò appoggiandogli una mano sulla spalla. «Non dirmi che vuoi lasciare questo angolo di paradiso per tornare a Chamonix e al tuo zuccherino francese?»

Il messicano seguì Skye con lo sguardo. «Non mi pare di essere l'unico ad apprezzare le prelibatezze locali.»

«Tu sei molto più avanti di me, Joe. La signorina e io non siamo ancora arrivati neppure al primo appuntamento.»

«Be', non sarò certo io a ostacolare una storia d'amore.»

«Vale anche per me», commentò Austin, accompagnando l'amico all'elicottero. «Ci vediamo a Parigi.»

La Città Perduta
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